Per rendere più solenne questa ricorrenza, pubblichiamo alcune delle più belle poesie italiane di Natale. Chi di noi da piccolo non è mai salito sulla sedia al pranzo di Natale per recitare una poesia?
Il Natale è la festività più importante dell’anno per la cultura occidentale e il suo calendario. Non tutti sanno, però, che le origini del Natale non sono poi così certe.
Le poesie più belle di Natale
Autori come Alessandro Manzoni, Giuseppe Ungaretti, Gianni Rodari, Alda Merini, Umberto Saba, Salvatore Quasimodo, Gabriele D’Annunzio, Mario Lodi, Guido Gozzano e Trilussa hanno contribuito a rendere magica questa ricorrenza componendo le loro poesie di Natale.
Ma quali sono le origini del Natale?
Oggi noi celebriamo il Natale il 25 dicembre, il giorno in cui – secondo la religione cristiana – nacque Gesù. Ma non è sempre stato così.
Nell’antica Roma si festeggiavano i “Saturnali” – feste pagane in cui i romani celebravano Saturno – dal 17 al 23 dicembre. Gli antichi romani organizzavano banchetti e facevano visita a parenti e amici per scambiarsi i regali durante queste ricorrenze.
Negli anni 320 – 353, durante il suo pontificato, Giulio I, forse con l’intenzione di convertire i pagani romani al cristianesimo, decise di stabilire il 25 dicembre come data di nascita di Cristo.
Circa un secolo dopo, la data sarebbe stata riconfermata da Papa Leone Magno. Nel 529 l’imperatore Giustiniano la dichiarò ufficialmente festività dell’Impero.
La nascita di Gesù

“Adorazione dei pastori” di Correggio, 1529-1530, Gemaldegalerie di Dresda.
I Vangeli e le Sacre Scritture, però, non danno indicazioni precise sulla nascita di Gesù.
Il primo presepe venne realizzato da San Francesco d’Assisi nel 1223 in una grotta vicino all’eremo francescano oggi noto come Santuario di Greccio o santuario del presepe, nel Lazio.
La tradizione di decorare un abete durante le festività natalizie – e cioè la tradizione di fare l’albero di Natale – proviene dal Nord Europa.
E oggi?
Il Natale è sempre stato importante per la cultura occidentale. E non soltanto come festa religiosa.
Oggi a questa festività si attribuisce il significato di festa familiare, un’occasione nella quale ci si ritrova tra le pareti domestiche e festeggiare insieme ai propri cari.

“La mattina di Natale”, Henry Mosler, 1916.
Le poesie di Natale
Tornando ora alle poesie. Chi di noi da piccolo non è mai salito sulla sedia al pranzo di Natale per recitare una poesia?
Il Natale è un argomento che sta a cuore a tanti poeti e sognatori.
La letteratura italiana vanta una lunga lista di componimenti ispirati a questo periodo di festa, pace e solidarietà.
Tra le poesie più belle di Natale, ci sono quelle di autori come Giuseppe Ungaretti, il quale riflette sul senso di solitudine, attraverso le sensazioni di un soldato di ritorno dalla guerra che non ha voglia di festeggiare. Gianni Rodari e Mario Lodi invece mettono in evidenza quanto la festività non sia uguale per tutti. Salvatore Quasimodo e Trilussa, attraverso il presepe, riflettono sulle inquietudini e contraddizioni del mondo degli uomini. Alessandro Manzoni, Umberto Saba, Gabriele D’Annunzio, Guido Gozzano e Alda Merini raccontano il Natale con un forte senso religioso.
Ecco dunque alcune delle poesie più belle di Natale!
Natale di Giuseppe Ungaretti
Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare
L’albero dei poveri di Gianni Rodari
Filastrocca di Natale,
la neve è bianca come il sale,
la neve è fredda, la notte è nera
ma per i bimbi è primavera:
soltanto per loro, ai piedi del letto
è fiorito un alberetto.
Che strani fiori, che frutti buoni
oggi sull’albero dei doni:
bambole d’oro, treni di latta,
orsi dal pelo come d’ovatta,
e in cima, proprio sul ramo più alto,
un cavallo che spicca il salto.
Quasi lo tocco… Ma no, ho sognato,
ed ecco, adesso, mi sono destato:
nella mia casa, accanto al mio letto
non è fiorito l’alberetto.
Ci sono soltanto i fiori di gelo
sui vetri che mi nascondono il cielo.
L’albero dei poveri sul vetro è fiorito:
io lo cancello con un dito.
Il pellerossa nel presepe di Gianni Rodari
Il pellerossa con le piume in testa
e con l’ascia di guerra in pugno stretta,
com’è finito tra le statuine
del presepe, pastori e pecorine,
e l’asinello, e i maghi sul cammello,
e le stelle ben disposte,
e la vecchina delle caldarroste?
Non è il tuo posto, via! Toro seduto:
torna presto di dove sei venuto.
Ma l’indiano non sente. O fa l’indiano.
Ce lo lasciamo, dite, fa lo stesso?
O darà noia agli angeli di gesso?
Forse è venuto fin qua,
ha fatto tanto viaggio,
perché ha sentito il messaggio:
pace agli uomini di buona volontà.
Il Natale di Alessandro Manzoni
Qual masso che dal vertice
Di lunga erta montana,
Abbandonato all’impeto
Di rumorosa frana,
Per lo scheggiato calle
Precipitando a valle,
Batte sul fondo e sta;
Là dove cadde, immobile
Giace in sua lenta mole;
Né, per mutar di secoli,
Fia che riveda il sole
Della sua cima antica,
Se una virtude amica
In alto nol trarrà:
Tal si giaceva il misero
Figliol del fallo primo,
Dal dì che un’ineffabile
Ira promessa all’imo
D’ogni malor gravollo,
Donde il superbo collo
Più non potea levar.
Qual mai tra i nati all’odio,
Quale era mai persona,
Che al Santo inaccessibile
Potesse dir: perdona?
Far novo patto eterno?
Al vincitore inferno
La preda sua strappar?
Ecco ci è nato un Pargolo,
Ci fu largito un Figlio:
Le avverse forze tremano
Al mover del suo ciglio:
All’uom la mano Ei porge,
Che si ravviva, e sorge
Oltre l’antico onor.
Dalle magioni eteree
Sgorga una fonte, e scende,
E nel borron de’ triboli
Vivida si distende:
Stillano mèle i tronchi
Dove copriano i bronchi,
Ivi germoglia il fior.
O Figlio, o Tu cui genera
L’Eterno, eterno seco;
Qual ti può dir de’ secoli:
Tu cominciasti meco?
Tu sei: del vasto empireo
Non ti comprende il giro:
La tua parola il fe’.
E Tu degnasti assumere
Questa creata argilla?
Qual merto suo, qual grazia
A tanto onor sortilla?
Se in suo consiglio ascoso
Vince il perdon, pietoso
Immensamente Egli è.
Oggi Egli è nato: ad Efrata,
Vaticinato ostello,
Ascese un’alma Vergine,
La gloria d’Israello,
Grave di tal portato:
Da cui promise è nato,
Donde era atteso uscì.
La mira Madre in poveri
Panni il Figliol compose,
E nell’umil presepio
Soavemente il pose;
E l’adorò: beata!
Innanzi al Dio prostrata,
Che il puro sen le aprì.
L’Angel del cielo, agli uomini
Nunzio di tanta sorte,
Non de’ potenti volgesi
Alle vegliate porte;
Ma tra i pastor devoti,
Al duro mondo ignoti,
Subito in luce appar.
E intorno a Lui, per l’ampia
Notte calati a stuolo,
Mille celesti strinsero
Il fiammeggiante volo;
E accesi in dolce zelo,
Come si canta in cielo,
A Dio gloria cantar.
L’allegro inno seguirono,
Tornando al firmamento:
Tra le varcate nuvole
Allontanossi, e lento
Il suon sacrato ascese,
Fin che più nulla intese
La compagnia fedel.
Senza indugiar, cercarono
L’albergo poveretto
Que’ fortunati, e videro,
Siccome a lor fu detto,
Videro in panni avvolto,
In un presepe accolto,
Vagire il Re del Ciel.
Dormi, o Fanciul; non piangere;
Dormi, o Fanciul celeste:
Sovra il tuo capo stridere
Non osin le tempeste,
Use sull’empia terra,
Come cavalli in guerra,
Correr davanti a Te.
Dormi, o Celeste: i popoli
Chi nato sia non sanno;
Ma il dì verrà che nobile
Retaggio tuo saranno;
Che in quell’umil riposo,
Che nella polve ascoso,
Conosceranno il Re.
A Gesù Bambino di Umberto Saba
La notte è scesa
e brilla la cometa
che ha segnato il cammino.
Sono davanti a Te, Santo Bambino!
Tu, Re dell’universo,
ci hai insegnato
che tutte le creature sono uguali,
che le distingue solo la bontà,
tesoro immenso,
dato al povero e al ricco.
Gesù, fa’ ch’io sia buono,
che in cuore non abbia che dolcezza.
Fa’ che il tuo dono
s’accresca in me ogni giorno
e intorno lo diffonda,
nel Tuo nome.
Nella notte di Natale di Umberto Saba
Io scrivo nella mia dolce stanzetta,
d’una candela al tenue chiarore,
ed una forza indomita d’amore
muove la stanca mano che si affretta.
Come debole e dolce il suon dell’ore!
Forse il bene invocato oggi m’aspetta.
Una serenità quasi perfetta
calma i battiti ardenti del mio cuore.
Notte fredda e stellata di Natale,
sai tu dirmi la fonte onde zampilla
Improvvisa la mia speranza buona?
È forse il sogno di Gesù che brilla
nell’anima dolente ed immortale
del giovane che ama, che perdona?
Il Presepio (alla nonna) di Gabriele D’Annunzio
A Ceppo si faceva un presepino
con la sua brava stella inargentata,
coi Magi, coi pastori, per benino
e la campagna tutta infarinata.
La sera io recitavo un sermoncino
con una voce da messa cantata,
e per quel mio garbetto birichino
buscavo baci e pezzi di schiacciata.
Poi verso tardi tu m’accompagnavi
alla nonna con dir: “Stanotte L’Angelo
ti porterà chi sa che bei regali!”.
E mentre i sogni m’arridean soavi,
tu piano, piano mi venivi a mettere
confetti e soldarelli fra’ i guanciali.
I Re Magi di Gabriele D’Annunzio
Una luce vermiglia
risplende nella pia
notte e si spande via
per miglia e miglia e miglia.
O nova meraviglia!
O fiore di Maria!
Passa la melodia
e la terra s’ingiglia.
Cantano tra il fischiare
del vento per le forre,
i biondi angeli in coro;
ed ecco Baldassarre
Gaspare e Melchiorre,
con mirra, incenso ed oro.
Generoso Natale di Alda Merini
Oh, generoso Natale di sempre!
Un mitico bambino
che viene qui nel mondo
e allarga le braccia
per il nostro dolore.
Non crescere, bambino,
generoso poeta
che un giorno tutti chiameranno Gesù.
Per ora sei soltanto
un magico bambino
che ride della vita
e non sa mentire.
Natale di Salvatore Quasimodo
Natale. Guardo il presepe scolpito,
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.
Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo.
Pace nella finzione e nel silenzio
delle figure di legno: ecco i vecchi
del villaggio e la stella che risplende,
e l’asinello di colore azzurro.
Pace nel cuore di Cristo in eterno;
ma non v’è pace nel cuore dell’uomo.
Anche con Cristo e sono venti secoli
il fratello si scaglia sul fratello.
Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino
che morirà poi in croce fra due ladri?
Er Presepio di Trilussa (Camillo Salustri)
Ve ringrazio de core, brava gente,
pé ‘sti presepi che me preparate,
ma che li fate a fa? Si poi v’odiate,
si de st’amore non capite gnente…
Pé st’amore sò nato e ce sò morto,
da secoli lo spargo dalla croce,
ma la parola mia pare ‘na voce
sperduta ner deserto, senza ascolto.
La gente fa er presepe e nun me sente;
cerca sempre de fallo più sfarzoso,
però cià er core freddo e indifferente
e nun capisce che senza l’amore
è cianfrusaja che nun cià valore.