Luis era sempre stato affascinato dai vulcani. Era strabiliato dal fatto che fossero lì da millenni, ancora vivi, potenti, eterni. Era come se niente e nessuno potesse spegnere la loro fiamma, come se questa potesse rinascere, ancora e ancora.
Si era molto divertito durante questa piccola gita sull'Etna. Dalla cima, lassù, niente sembrava più grande di lui. Era ad un passo dal cielo, e tutto era a portata di mano.
Adesso erano già di ritorno, e lui se ne stava con la faccia spiaccicata sul finestrino del bus, seguendo con lo sguardo la linea del guard rail che costeggiava la strada.
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Come al solito, parlava con suo fratello, rigurgitandogli addosso qualsiasi pensiero gli passasse per la mente.
Era il compleanno della mamma, e stavolta gli raccontava di come le avrebbe fatto una bella sorpresa, mostrandole il regalo che aveva preso per lei con i soldi della merenda. Gli brontolava un po' lo stomaco, ma era sicuro che ne sarebbe valsa la pena.
Parlava un po' per noia, un po' per non rischiare di addormentarsi e far brutta figura con i compagni.
Era così stanco. I viaggi gli mettevano sonno, e poi ultimamente non riusciva a dormire molto.
Dopo i primi giorni d'inferno, ormai era diminuito il via vai di gente che veniva a fare visita a casa sua, ma comunque non era ancora riuscito a liberarsi del tutto di quegli estranei con il sorriso triste e gli occhi lucidi.
Non gli piaceva avere a che fare con loro. Accennava un timido saluto, come gli era stato detto di fare, da bravo ometto, e poi correva a rifugiarsi nella sua camera.
Per fortuna poteva sempre contare su suo fratello. Era l'unico a cui riusciva a dire tutto, l'unico dal quale si sentisse ascoltato veramente, l'unico che c'era sempre, anche se parlava poco.
La mamma era sempre impegnata con il lavoro, o a ricevere sfilze di persone vestite di nero che ripetevano sempre le stesse cose, e sembrava non avesse più tanto tempo per lui.
In più ormai litigavano sempre.
Gli diceva sempre che cosa fare e cosa no. Nei rari momenti che passavano insieme, lei non faceva altro che dirgli che non gli faceva bene rinchiudersi in quella stanza, e che doveva conoscere altre persone, farsi nuovi amici e, quando lo vedeva parlare con suo fratello, lo guardava con una nota di disprezzo, come se stesse facendo qualcosa di sbagliato.
Anche Susanna, la psicologa della scuola, gli ripeteva le stesse cose, ma a lui non importava.
Non lo capivano, ma in fondo erano adulti, e nemmeno lui capiva loro.
Sembrava che tutti ormai, i grandi, avessero dei consigli per lui. Tutti ora si sforzavano di rivolgergli la parola, persino gli insegnanti.
Per l'intera durata della gita, non avevano fatto altro che tempestarlo di domande «Devi andare in bagno, Luis? Vuoi più patatine con la cotoletta, Luis? Hai messo tutto nello zainetto, Luis?».
Luis. Luis. Luis…
Aah! Non ne poteva più.
Non era abituato a tutte queste attenzioni.
Era sempre stato un tipo solitario, proprio come suo fratello. Forse è per questo che erano sempre stati così legati.
Gli voleva un mondo di bene, nonostante nell'ultimo periodo sembrasse sempre triste e spesso si arrabbiasse con lui.
Luis aveva pochi amici ma, per quanto ne sapesse, suo fratello poteva non averne affatto.
A dire il vero non lo aveva mai visto uscire di casa se non per andare a scuola o per portare fuori Spike, il loro piccolo bull dog bavoso.
Era un tipo un po' chiuso, riservato forse, però con lui era buono.
Con la mamma invece aveva spesso discussioni, e Luis ogni volta ci si ritrovava in mezzo.
Lei cercava sempre di parlargli, ma lui non ne voleva mai sapere e, se per caso fosse passata davanti al suo computer acceso, lui subito lo nascondeva ed iniziava a ringhiare, così tanto che le sue guance paffute lo facevano assomigliare a Spike quella volta che aveva preso di mira Palla di neve, il gatto del vicino.
Quando finalmente la mamma riusciva a cavargli fuori di bocca due parole, lui diceva che non voleva che ficcasse il naso negli affari suoi e che si trattava solo di stupidi commenti, ma a Luis sembrava che ci stesse più male di quanto volesse far credere.
Una volta l'avevano anche sospeso da scuola. Suo fratello sosteneva che fosse stato un altro a far partire la rissa e di essersi solo difeso, ma il preside era stato chiaro sul fatto che un destro al mento non era stata una reazione adeguata ad un semplice "cicciobomba" da parte del compagno, e così lo aveva fatto rimanere a casa per una settimana.
Luis ricordava spesso quei giorni, perché la mamma sembrava sempre nervosa. Una volta, nella fretta, gli aveva preparato il toast per la merenda con lo zucchero al posto del sale. Non aveva avuto il coraggio di farglielo notare. E poi lo sgridava per qualsiasi cosa, come a volerlo accusare di qualcosa che non aveva mai fatto, e lui si sentiva di troppo.
A volte Luis incolpava suo fratello per il fatto di prendersi tutte le attenzioni, solo perché sembrava vivere in un mondo tutto suo, fatto di chissà che cosa, ma in fondo era contento perché a volte lo lasciava entrare per un po'. E poi si sentiva al sicuro tra le sue braccia possenti.
Era come un padre per lui.
Stava ripensando a tutto questo quando il rumore delle porte scorrevoli del veicolo riportò la sua attenzione sul presente, seguito dal mormorio dei suoi compagni che cominciavano a farsi strada verso l'uscita.
Non vedeva l'ora di tornare da sua mamma e mostrarle il regalo che aveva preso per lei. Era una di quelle piccole sculture acchiappaturisti in pietra lavica.
Dapprima aveva pensato di prenderle un leone, il suo animale preferito, ma poi aveva messo gli occhi su quella a forma di cuore, e gli era sembrata il regalo perfetto.
«Secondo te le piacerà?» domandò a suo fratello, mentre si chiedeva se anche lui le avesse preso un regalo.
Ma sì, pensò, doveva sicuramente averle organizzato qualcosa. Era sempre stato in fissa per i compleanni, e puntualmente si inventava l'impossibile per renderli indimenticabili.
Una volta, per i suoi sei anni, gli aveva persino fatto credere che lo avessero abbandonato, solo per poi poter entrare in camera ed urlare "Sorpresa cretinetto! Te l'ho fatta!". Anche la mamma, che si era sempre mostrata contraria a quello scherzo, era scoppiata a ridere vedendo la sua reazione sconcertata, e da allora era diventato una sorta di motto da ripetere ad ogni compleanno.
Ecco, Luis voleva che fosse un'occasione speciale come quella, anche se non era bravo come suo fratello.
Mentre percorreva i pochi isolati che lo separavano da casa, sperava di non trovarci altre facce tristi di sconosciuti a dargli il benvenuto. Non sopportava l'idea che qualcuno potesse rovinargli quel momento.
Quando arrivò sull'uscio di casa, fece il più furtivamente possibile.
Girò con maestria e rapidità le chiavi nella porta, fece cenno di restare in silenzio a Spike, che lo aspettava già sull'attenti con la lingua penzoloni, e si guardò intorno.
Non vide nessuno in soggiorno, quindi la mamma doveva per forza essere sola.
«Missione compiuta» si disse orgoglioso.
Quando arrivò in cucina finalmente la vide.
Aveva una bottiglia a farle compagnia, di quelle che bevono solo i grandi e che fanno diventare le guance tutte rosse.
«Luis!» lei si alzò di scatto dal divano non appena si accorse di lui, e lo strinse nel più tenero abbraccio di cui fosse capace, con il pesante bicchiere di vetro ancora in mano.
«A… auguri mamma» mormorò.
Lei rispose con un sorriso dolce, ma lui notò che le sue labbra tremavano.
«Come è andata la gita, amore?» gli chiese, strofinandosi il naso con un dito, appena sotto gli occhi gonfi.
«Bene»
Gli faceva tante domande e lui rispondeva a monosillabi.
Non sapeva spiegarsi il perché ma si sentiva a disagio. Lei non era felice come aveva immaginato e sarebbe stato stupido darle il regalo adesso.
Mentre stava lì, in piedi, a torturarsi su quando sarebbe stato il momento giusto, lei lo incalzò con una domanda.
La fece quasi di fretta, come se si rendesse conto che non avrebbe mai trovato un momento giusto per porglierla, e le parole le uscirono di bocca più taglienti di quanto non volesse.
«Hai parlato ancora con tuo fratello?»
«S… sì mamma» rispose spiazzato.
«No, non è vero»
«Sì invece, te lo giuro» continuò.
«Luis… » si portò una mano al viso come se questo potesse scoppiarle tra le dita.
«Gli ho parlato! E lui mi ha detto…»
«Basta, Luis! Non raccontarmi balle! Quante volte te lo devo dire?»
Adesso gli faceva paura. Non la vedeva così da quando…
«Ma, mamma io…»
«Tuo fratello non c'è più! Lo vuoi capire o no? » continuò ad urlare.
«Ci ha lasciati, Luis... È morto!»
«Zitta mamma, non è vero! Lui non è… Sei solo una bugiarda! Una bugiarda!»
Mentre sputava quelle parole con tutta la rabbia che un bambino può avere in corpo, sua mamma si avventò su di lui e lo afferrò con forza per un braccio.
«Mamma, mi fai male»
«Ammettilo»
«Cosa?»
«Ammetti che tuo fratello non c'è più. Ammetti che è morto e che non tornerà. E promettimi che non ti torturerai più con le tue fantasie per amor di Dio!»
Lo scuoteva come se dovesse estorcergli una crudele confessione, ma lui tacque e, a quel punto, uno schiaffo si scaraventò dritto sul suo volto, facendo cadere il regalo che aveva gelosamente custodito tra le mani fino ad allora e che si frantumò in mille pezzi.
Luis rimase impietrito per un attimo, mentre il calore sulla guancia si faceva sempre più intenso e poi, come una gazzella alla vista di un leone, corse in camera singhiozzando e trattenendo le lacrime.
La mamma rimase a terra, immobile.
Con lo sguardo di chi non ha nemmeno più la forza per pensare, cominciò a rimettere insieme i pezzi di quello che era il suo regalo.
Lo ricompose come a voler riparare sè stessa, cercare di mettere un cerotto a qualcosa che si era rotto già da tempo e che non aveva trovato cura e, quando finalmente ebbe rimesso tutto insieme, le tornarono alla mente le parole che suo figlio le aveva scritto nel biglietto di addio, pochi attimi prima che si togliesse la vita.
«Mamma, scusami se ho sbagliato.
Scusami se ho lasciato soli te e Luis.
Scusami se non sono riuscito ad essere forte, come mi volevi tu.
Scusami se non sono stato capace di essere l'uomo di casa, se ho sempre cercato di colmare con del cibo il vuoto che ci ha lasciato papà.
Scusa se non ti ho ascoltata quando hai provato ad aiutarmi.
Scusa se ho lasciato che le parole delle persone mi ferissero al punto da avere la meglio su di me.
E scusa ancora per quello che ho fatto, per essere stato un codardo, per non aver avuto la forza di combattere… ma sappi che, proprio quando il tuo cuore cadrà a pezzi, io sarò lì accanto a te, mamma.
Sono Sempre lì con te.»
Una goccia cadde sulla pietra nera che aveva tra le mani, creando un cerchietto lucido sulla superficie opaca. Poi un'altra, e un'altra ancora, finché non ne fu piena. E la strinse, la strinse forte al petto.
Corse in camera ad abbracciare Luis, che sembrava non stesse aspettando altro. Lui le si buttò ai fianchi e si aggrappò a lei come un naufrago ad una scialuppa di salvataggio.
Erano di nuovo insieme, leggeri, come in cima a quel vulcano.
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